Le monache di Ponza

Gennaro Esposito era un uomo mite, quasi sulla cinquantina, nè piacente nè avvizzito, che sovente tracciava nella propria mente i bilanci della sua vita; quella vita tranquilla, forse anche piatta, vissuta giorno per giorno, con pochi colpi di scena e poche novità travolgenti. Un matrimonio consolidato da vent’anni di reciproca tolleranza, e nessun figlio: un pò per scelta e un pò per forza. Funzionario bancario, spesso effettuava sopralluoghi e consulenze presso i clienti più importanti della sua filiale, e ciò lo distaccava temporaneamente dalle incombenze del quotidiano, oltre ad aprire una finestra sul mondo, spesso visto dalle porte collocate dietro ai metal detector di quella banca vista dal lato opposto.

Gennaro era continuamente assalito dai dubbi quando pensava al suo matrimonio; pensava di aver “corso troppo”, di non aver riflettuto abbastanza, di aver fatto un passo più lungo della gamba prima del tempo, anche se ormai la strada era tracciata e il suo destino parzialmente appiattito sembrava condurre a quella perenne esperienza di vita senza stimoli e senza sbocchi, nonostante la tranquillità economica di cui godeva.

In pieno Agosto Gennaro era diretto presso una struttura alberghiera a Ponza, dove aveva un appuntamento di lavoro con un commercialista che seguiva la struttura. Tra l’afa che sembrava trasformare quella cravatta in un cappio e quella giacca in una sauna dove la camicia inzuppata di sudore sembrava un accappatoio da strizzare, finalmente era giunto sul traghetto Formia-Ponza, e sulla prua riuscì a trovare quel modesto sollievo tra la brezza marina che lo accompagnava e l’immancabile sigaretta, fedele, maligna compagna di una vita.

Con lui, tra gli altri passeggeri che approfittavano di quello spazio aperto per qualche boccata di catrame c’erano cinque ragazze piuttosto carine, più o meno sulla trentina, curate, truccate con rossetti dai colori accesi e vestite con attillate minigonne abbinate ai sandali dai tacchi enormi che evidenziavano le caviglie sottili e la linea slanciata; le ragazze erano intente a confidarsi tra di loro, anche se si udivano i toni accesi. L’orecchio di Gennaro, inizialmente indifferente, finì con l’ascoltare i discorsi di queste ultime.

“No! E’ inutile che lo difendete, si è comportato da stronzo”, tuonava Roberta, “mi ha preso per la sua puttana!”. Gli occhi affranti e commiserevoli delle altre accompagnavano in modo solidale quello sfogo; “ma cosa crede? che mi può chiamare quando vuole, divertirsi e poi far finta che non esisto?”… poi Anna si fece avanti: “ma Enzo non si è accorto di nulla?”, e Roberta rispose: “no, per fortuna non sa dell’altra scheda che ho sul cellulare, ma ho avuto l’impressione che si sta vedendo con la sua ex; se lo scopro gli faccio passare un brutto quarto d’ora a quel pezzo di merda”. Poi arrivò il turno di Claudia: “è proprio come è successo a me, ti ricordi quando frequentavo Antonio? … poi uscii una sera con Lello, ci siamo divertiti, siamo andati un pò oltre… e già sapete cosa successe: alla fine Antonio ha scoperto tutto e mi ha lasciata, quel coglione!”.

Gennaro cominciava a ricostruire, per sommi capi, la dinamica di quei racconti, anche se volavano insulti continui, rivolti a tutti.

Intanto arrivò il turno di Angela, la più carina di tutte: “qua vedo tutte le mie amiche che si sposano, hanno figli, e noi rimaniamo sempre indietro: parliamo, parliamo, ci incazziamo e non concludiamo niente! Poi troviamo uno stronzo e siamo sempre peggio di prima!”, e ancora Roberta: “gli uomini sono sempre gli stessi, non cambiano mai… e noi ci andiamo di mezzo, mentre loro continuano impuniti a fare quello che vogliono!”

Gennaro aveva finito la sua sigaretta, ed era incuriosito dal filo illogico che guidava quelle conversazioni, al punto di cercare una scusa per rimanere, così, anche se non ne aveva voglia, si accese un’altra sigaretta; avrebbe ascoltato volentieri altri cinque minuti di quel reality bizzarro offerto gratuitamente con il biglietto…

Intervenne Paola, che fino ad allora si era limitata ad ascoltare: “io mi chiedo a chi Santo devo rivolgermi per far innamorare qualcuno!”, poi, Angela: “ma tu non ti sei mai innamorata di nessuno, che pretendi ora?”; “che c’entra?” rispose Paola, “finora non ho trovato nessuno che mi ha fatto perdere la testa!”; poi si intromette di nuovo Roberta: “…ma hai cacciato a calci un sacco di ragazzi, uno meglio dell’altro!”, poi taglia corto Angela: “vabbè, lasciamo stare, tanto Paola non fa testo: quella cerca il principe azzurro, e non vuole capire che Cenerentola è una favola per i bambini!”.

Gennaro a quel punto chiuse gli occhi, lasciava che la brezza accarezzasse il suo viso stanco, e stringeva tra le dita quella sigaretta appena accesa, che già era arrivata a metà, pur avendo tirato si e no un paio di boccate.

La voce di Angela continuava a fare da sottofondo al rumore dell’acqua che urtava il traghetto: “va a finire che dobbiamo cercarci qualche poveraccio di mezza età che ci fa campare con l’eredità, vedete che vi dico, prima o poi facciamo ‘sta fine!”, e la risposta di Paola non si fece attendere: “che schifo!”. A quel punto gli occhi di Gennaro, tutto d’un tratto, si sgranarono allucinati.

Intanto Roberta stringeva tra le labbra una sigaretta ma non trovava l’accendino nella borsa: senza perdersi di coraggio si guardò intorno, e vide Gennaro, immerso nei suoi pensieri, di spalle, rivolto verso l’orizzonte; gli si avvicinò, sculettando sui tacchi, come era abituata a fare quando cercava di attirare gli sguardi a sè: “scusi, ha da accendere?”.

Gennarò si spaventò; si sentiva un pò in colpa per aver origliato quella conversazione, ma riuscì a non scomporsi; tirò fuori l’accendino dalla tasca della giacca e le fece accendere la sigaretta. La ragazza dopo la prima boccata accennò un sorriso e fece un cenno col capo per ringraziare.

La sigaretta di Gennaro era finita, e l’uomo ritornò nella sala interna con l’aria condizionata; non aveva voglia di sedersi, aveva voglia di appoggiarsi al muro per riflettere, specialmente in quel momento, dove anzichè sentire le voci di quelle ragazze ascoltava le note di “Wonderwall” degli Oasis diffuse dalla radio negli altoparlanti in sala. In quel momento si sentiva come un bambino perduto che cercava dappertutto la gonnella della mamma per aggrapparsi, per rifugiarsi, per nascondersi; mai come allora aveva desiderato avere la moglie con sè, mai come allora aveva cercato quella complicità che aveva dimenticato di avere.

“Povera Antonietta”, pensava, “quante volte l’ho trascurata e quante volte l’ho messa da parte nella mia vita… Appena scendo le compro qualcosa in gioielleria e le faccio una sorpresa”, e mentre pensava al regalo da comprare, intravedeva dalla finestra che affaccia sulla prua, le ragazze che cominciavano a sbattere le braccia, gridando imbestialite a causa della discussione che nel frattempo si era animata.

“e soprattutto, devo togliermi ‘sto maledetto vizio delle sigarette… il fumo fa male anche per gli incontri strani che favorisce…”

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Gennaio 2009)

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..faccio il tifo per il lupo cattivo: con la nonna ho già perso troppe scommesse.
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