Le monache di Ponza

Gennaro Esposito era un uomo mite, quasi sulla cinquantina, nè piacente nè avvizzito, che sovente tracciava nella propria mente i bilanci della sua vita; quella vita tranquilla, forse anche piatta, vissuta giorno per giorno, con pochi colpi di scena e poche novità travolgenti. Un matrimonio consolidato da vent’anni di reciproca tolleranza, e nessun figlio: un pò per scelta e un pò per forza. Funzionario bancario, spesso effettuava sopralluoghi e consulenze presso i clienti più importanti della sua filiale, e ciò lo distaccava temporaneamente dalle incombenze del quotidiano, oltre ad aprire una finestra sul mondo, spesso visto dalle porte collocate dietro ai metal detector di quella banca vista dal lato opposto.

Gennaro era continuamente assalito dai dubbi quando pensava al suo matrimonio; pensava di aver “corso troppo”, di non aver riflettuto abbastanza, di aver fatto un passo più lungo della gamba prima del tempo, anche se ormai la strada era tracciata e il suo destino parzialmente appiattito sembrava condurre a quella perenne esperienza di vita senza stimoli e senza sbocchi, nonostante la tranquillità economica di cui godeva.

In pieno Agosto Gennaro era diretto presso una struttura alberghiera a Ponza, dove aveva un appuntamento di lavoro con un commercialista che seguiva la struttura. Tra l’afa che sembrava trasformare quella cravatta in un cappio e quella giacca in una sauna dove la camicia inzuppata di sudore sembrava un accappatoio da strizzare, finalmente era giunto sul traghetto Formia-Ponza, e sulla prua riuscì a trovare quel modesto sollievo tra la brezza marina che lo accompagnava e l’immancabile sigaretta, fedele, maligna compagna di una vita.

Con lui, tra gli altri passeggeri che approfittavano di quello spazio aperto per qualche boccata di catrame c’erano cinque ragazze piuttosto carine, più o meno sulla trentina, curate, truccate con rossetti dai colori accesi e vestite con attillate minigonne abbinate ai sandali dai tacchi enormi che evidenziavano le caviglie sottili e la linea slanciata; le ragazze erano intente a confidarsi tra di loro, anche se si udivano i toni accesi. L’orecchio di Gennaro, inizialmente indifferente, finì con l’ascoltare i discorsi di queste ultime.

“No! E’ inutile che lo difendete, si è comportato da stronzo”, tuonava Roberta, “mi ha preso per la sua puttana!”. Gli occhi affranti e commiserevoli delle altre accompagnavano in modo solidale quello sfogo; “ma cosa crede? che mi può chiamare quando vuole, divertirsi e poi far finta che non esisto?”… poi Anna si fece avanti: “ma Enzo non si è accorto di nulla?”, e Roberta rispose: “no, per fortuna non sa dell’altra scheda che ho sul cellulare, ma ho avuto l’impressione che si sta vedendo con la sua ex; se lo scopro gli faccio passare un brutto quarto d’ora a quel pezzo di merda”. Poi arrivò il turno di Claudia: “è proprio come è successo a me, ti ricordi quando frequentavo Antonio? … poi uscii una sera con Lello, ci siamo divertiti, siamo andati un pò oltre… e già sapete cosa successe: alla fine Antonio ha scoperto tutto e mi ha lasciata, quel coglione!”.

Gennaro cominciava a ricostruire, per sommi capi, la dinamica di quei racconti, anche se volavano insulti continui, rivolti a tutti.

Intanto arrivò il turno di Angela, la più carina di tutte: “qua vedo tutte le mie amiche che si sposano, hanno figli, e noi rimaniamo sempre indietro: parliamo, parliamo, ci incazziamo e non concludiamo niente! Poi troviamo uno stronzo e siamo sempre peggio di prima!”, e ancora Roberta: “gli uomini sono sempre gli stessi, non cambiano mai… e noi ci andiamo di mezzo, mentre loro continuano impuniti a fare quello che vogliono!”

Gennaro aveva finito la sua sigaretta, ed era incuriosito dal filo illogico che guidava quelle conversazioni, al punto di cercare una scusa per rimanere, così, anche se non ne aveva voglia, si accese un’altra sigaretta; avrebbe ascoltato volentieri altri cinque minuti di quel reality bizzarro offerto gratuitamente con il biglietto…

Intervenne Paola, che fino ad allora si era limitata ad ascoltare: “io mi chiedo a chi Santo devo rivolgermi per far innamorare qualcuno!”, poi, Angela: “ma tu non ti sei mai innamorata di nessuno, che pretendi ora?”; “che c’entra?” rispose Paola, “finora non ho trovato nessuno che mi ha fatto perdere la testa!”; poi si intromette di nuovo Roberta: “…ma hai cacciato a calci un sacco di ragazzi, uno meglio dell’altro!”, poi taglia corto Angela: “vabbè, lasciamo stare, tanto Paola non fa testo: quella cerca il principe azzurro, e non vuole capire che Cenerentola è una favola per i bambini!”.

Gennaro a quel punto chiuse gli occhi, lasciava che la brezza accarezzasse il suo viso stanco, e stringeva tra le dita quella sigaretta appena accesa, che già era arrivata a metà, pur avendo tirato si e no un paio di boccate.

La voce di Angela continuava a fare da sottofondo al rumore dell’acqua che urtava il traghetto: “va a finire che dobbiamo cercarci qualche poveraccio di mezza età che ci fa campare con l’eredità, vedete che vi dico, prima o poi facciamo ‘sta fine!”, e la risposta di Paola non si fece attendere: “che schifo!”. A quel punto gli occhi di Gennaro, tutto d’un tratto, si sgranarono allucinati.

Intanto Roberta stringeva tra le labbra una sigaretta ma non trovava l’accendino nella borsa: senza perdersi di coraggio si guardò intorno, e vide Gennaro, immerso nei suoi pensieri, di spalle, rivolto verso l’orizzonte; gli si avvicinò, sculettando sui tacchi, come era abituata a fare quando cercava di attirare gli sguardi a sè: “scusi, ha da accendere?”.

Gennarò si spaventò; si sentiva un pò in colpa per aver origliato quella conversazione, ma riuscì a non scomporsi; tirò fuori l’accendino dalla tasca della giacca e le fece accendere la sigaretta. La ragazza dopo la prima boccata accennò un sorriso e fece un cenno col capo per ringraziare.

La sigaretta di Gennaro era finita, e l’uomo ritornò nella sala interna con l’aria condizionata; non aveva voglia di sedersi, aveva voglia di appoggiarsi al muro per riflettere, specialmente in quel momento, dove anzichè sentire le voci di quelle ragazze ascoltava le note di “Wonderwall” degli Oasis diffuse dalla radio negli altoparlanti in sala. In quel momento si sentiva come un bambino perduto che cercava dappertutto la gonnella della mamma per aggrapparsi, per rifugiarsi, per nascondersi; mai come allora aveva desiderato avere la moglie con sè, mai come allora aveva cercato quella complicità che aveva dimenticato di avere.

“Povera Antonietta”, pensava, “quante volte l’ho trascurata e quante volte l’ho messa da parte nella mia vita… Appena scendo le compro qualcosa in gioielleria e le faccio una sorpresa”, e mentre pensava al regalo da comprare, intravedeva dalla finestra che affaccia sulla prua, le ragazze che cominciavano a sbattere le braccia, gridando imbestialite a causa della discussione che nel frattempo si era animata.

“e soprattutto, devo togliermi ‘sto maledetto vizio delle sigarette… il fumo fa male anche per gli incontri strani che favorisce…”

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Gennaio 2009)

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Il grande fratello SALVATORE

E’ iniziato… proprio oggi, che fortunata coincidenza; proprio nel giorno del compleanno di mia sorella… Ne parlano tutti: giornali, radio e (figuriamoci) la TV… il mitico, geniale, grottesco, squallido, imperdibile GRANDE FRATELLO.

Finalmente… non se ne poteva più di aspettare; la gente cominciava ad annoiarsi… e la noia, oggi, è veramente pericolosa: si rischia di affrontare argomenti impegnativi durante le chiacchierate; si rischia di parlare di politica, si rischia di tirare in mezzo qualche ideologia, si rischia -seriamente- di fare qualche discorso sensato.

Ma per fortuna “l’intervallo” tra l’anno scorso e l’anno corrente è finito; possiamo tornare a concentrarci su ciò che conta: le tette della prima che ho visto entrare nella casa: passando davanti la stanza di mia sorella ho visto dal TV LCD nuovo di zecca che le ho regalato due mozzarelle da almeno 3 kg l’una nascoste sotto un vestito che ne mostrava la metà… Già, se il buongiorno si vede dal mattino ci sarà pane per tanti denti affamati di intrattenimento dozzinale; ho solo ascoltato la prima frase che ha detto: “ma qui ci sono i letti matrimoniali?!?”… eh si, davvero un ottimo inizio…

Ma il grande fratello non è soltanto il fenomeno mediatico più odiato (in teoria) da tutti; piuttosto è un’autentica scialuppa di salvataggio per tante situazioni difficilmente risolvibili… ad esempio, può essere un ottimo spunto di conversazione (o meglio, distrazione) per suoceri rompicoglioni: nel momento del bisogno, quando ci si trova alle strette, basta un telecomando e un tasto “magico” per spingere l’interlocutore verso un’ipnosi veloce quanto le performances di Giucas Casella… certo, è tutto finto… ma Giucas Casella, come il grande fratello è un’invenzione della tv: come diceva il grande De Gregori, “uno zingaro è un trucco”.

Finalmente, da domani (lasciamo finire la prima puntata) potremo fare dei paragoni facili con qualche personaggio del grande fratello; in qualunque contesto; da domani possiamo distrarre la partner/il partner con discorsi assolutamente fuorvianti tipo “hai visto quella stronza/quello stronzo?” (tempo due settimane e gli stronzi verranno a galla!); così riusciremo facilmente a mostrare un moralismo mai emerso prima, salvando il popò quando si combinano affarucci che non rientrano pienamente nei canoni della moralità; ancora, possiamo distrarre i colleghi in ufficio introducendo qualche aneddoto della “casa” per avere la certezza di accendere una miccia che ci metterà un bel pò prima di spegnersi… il tempo necessario per “coprire” qualche sciocchezza o per prendere tempo necessario a fare altro… insomma, davvero, vorrei spezzare una lancia a favore del grande fratello: è un pò come il partito di Berlusconi (guarda caso); nessuno dice di averlo votato ma ha vinto le elezioni; nessuno dice di guardare il grande fratello, ma chissà perchè tutti sanno esattamente ciò che succede in quello “spettacolo” contorto dove la maniacale curiosità “da spioncino” regna sovrana.

E poi, meno male che è iniziato, eravamo stanchi di sentir parlare della sciagura che si protrae tra Israele e Palestina… basta con gli scontri tra maggioranza e opposizione… basta con ‘sta storia dell’Alitalia…

In fondo, grazie a Dio, l’Italia è un popolo di telelobotomizzati; se non fosse per queste persone, non potremmo sentirci diversi, o -permettetemi la prosopopea- migliori.

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Gennaio 2009)

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Letterina per Babbo Natale

Caro Babbo Natale, quest’anno penso di aver fatto il bravo e credo di essermi comportato bene. Per questo ho deciso di scriverti una letterina, altrimenti spedivo una mail, con la certezza che sarebbe finita nel tuo filtro anti-spam.

So che molti bambini non credono in te; vorrei consolarti, ma in realtà preferisco solo dirti “futtetenne”: meglio pochi ma buoni piuttosto che tanti ma inutili.

Quest’anno, se vuoi farmi contento, potresti regalarmi un bel lama. Non una lama per tagliare le vene; di quelle ne ho fin troppe; mi riferisco piuttosto al quadrupede, il bestione grosso più o meno quanto un cammello.

Ci ho pensato molto, ho riflettuto a lungo, e credo proprio che il lama mi renderebbe un bambino felice, nonostante gli anni suonati che ho: ho pensato anche a un nome, voglio chiamarlo “Arek-Fù”; è un nome giapponese che non significa un cazzo, ma, una volta addestrato, mi riempirà di gioia, specialmente quando -a comando- sputerà in faccia a tutti quelli che non mi stanno simpatici. Pensa… io grido “Arek-fù” e il lama: “pthù!”. Suona bene, no? Sembra quasi un suono onomatopeico; magari non è proprio un’osservazione giusta, ma se ci rifletti, una sputazzata del lama è come un sasso lanciato dal cavalcavia su un’auto in corsa… (che suono farà?)

Gli amici mi dicevano che non era opportuno fare questa richiesta… dicevano che il lama è grosso, che richiede spazio, che in città avrebbe vissuto male, eccetera. Ma non preoccuparti, caro Babbo Natale, ho pensato a tutto: il lama la notte dormirà fuori al terrazzo, così quando fa freddo gli viene pure il catarro e produrrà sputacchiate più dense, per la gioia del padrone. Prometto che lo porto a spasso tutti i giorni, mattina e sera; forse penserai che due volte al giorno sono poche, invece c’è un motivo: gli darò da bere nella vasca del wc, così, quando sarà pieno d’acqua, grosso com’è, farà dei pisciatoni che potrebbero lavare un’auto; ovviamente, quando lo porterò a spasso, lo avvicinerò all’auto dell’amministratore del mio condominio (la sua macchina, che tra l’altro è un cesso, si presta allo scopo).

Non preoccuparti per il resto: lo addestro io, metterò un bel manifesto con la foto di qualche collega; ad esempio il “vice-capo-palazzo”: un omino inutile che non mi ha fatto niente di male ma che non sopporto perchè vuole fare il simpatico a tutti i costi mentre io non lo calcolo neanche di striscio… magari gli scatto una foto e disegno tanti cerchi concentrici per perfezionare il tiro; poi, per abituarlo da cucciolo, lo porto al lavoro con me tutti i giorni: osserverà i consulenti della Accenture che girano nei corridoi sparando cazzate inconcludenti (rigorosamente in inglese, così farò una slide in PowerPoint “as is” -asciutti- e “to be” -bagnati dal lama-) e questo lo aiuterà a stimolare le ghiandole salivari… così non sarà necessario ricorrere a metodi educativi “drastici” o crudeli: funzionerà la tecnica del premio; ogni consulente Accenture un biscottino, il vice-capo-palazzo un pacco di biscotti intero… e se colpisce qualche mia ex gli regalo la macchina a 18 anni.

Tutto sommato, caro Babbo Natale, non ho fatto una richiesta assurda… pensa agli ipocriti che ti chiedono la pace nel mondo e poi sono i primi a far la guerra col mondo, pensa alle persone cha fanno beneficienza solo per mettersi in mostra o pensa a chi va tutte le Domeniche alla messa per poi si comportarsi una chiavica durante il resto della settimana…

Ecco, apprezza almeno quel pizzico di coerenza che mi è rimasto: non ti dico che mi comporterò da Santo, nè mi spaccio per tale; per questo infatti sto chiedendo un lama per sputare in faccia a tutti… in fondo non fa male a nessuno: fa soltanto un pò schifo.

 lama

Grazie comunque, caro Babbo Natale.

Aspetto con ansia il mio amico “Arek-fù”; se non lo porti, ne compro uno di tasca mia e ti faccio sputare in faccia il prossimo Natale.

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Dicembre 2008)

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Il “muorto” e la sposa

Sbocciano i fiori, volano gli uccelli, le anziane incartapecorite si truccano come le giovani ragazzine e le giovani ragazzine si truccano come le anziane incartapecorite; una fresca brezza di primavera accarezza la fronte di chi si rilassa durante una passeggiata sul lungomare; folti gruppi di roditori geneticamente modificati che ormai hanno raggiunto il “rango” di felini veri e propri circondano gli scogli che si intravedono dalla ringhiera e i gabbiani che svolazzano sui cumuli di monnezza fanno da cornice, con il loro strillo alternato ai clacson delle auto in transito.

Ma il sole splende e l’aria è frizzante, nonostante il tabellone per misurare le polveri sottili lampeggia con una scritta rossa simile a un allarme atomico; la gente è serena, nonostante i “mao-mao” che sul marciapiede sfoggiano i mutandoni sollevati fino alla spina dorsale a discapito dei testicoli stritolati solo per mostrare il logo “D&G”… “Docce & gabinetti”, pensava qualche vecchietta: no, sono i soliti, scontati, banali e inflazionati “Dolce e Gabbana”, che sembrano contagiare il pubblico maschile con ambigue tendenze sessuali, grazie all’intonazione vocale acuta causata dai testicoli schiacciati nelle mutande.

Ad un tratto i clacson ammutoliscono. Il fracasso si interrompe. I “mao-mao” si sono distratti e le mutande “Viagra-killer” indossate da questi ultimi si sono rilasciate scendendo fino ai calzini.

“Impresa funebre BELLOMUNNO”: passa il famigerato carro; una Mercedes con una croce sul tetto, e tra il corteo si scorge in prima fila la famiglia, in seconda fila i parenti, in terza fila gli amici intimi, in quarta fila gli amici e basta, in quinta fila i colleghi, in sesta fila i capi ufficio, e dalla settima fila in poi gente che parla dei cazzi propri; man mano che la fila si allunga, l’eco delle risate aumenta, fino all’ultima fila, dove si disputano le finali della gara di barzellette.

La folla che passeggiava tranquillamente sul marciapiedi si blocca, alla visione del corteo. Le donne si fanno il segno della croce, gli uomini sembrano assaltati improvvisamente dalle piattole, intenti a grattarsi a sangue le zone intime, senza un attimo di pausa.

Ma un bambino, icona della spontaneità e innocenza, appena realizza il contesto grida: “O’ MUORTO!!!” e la mamma, con l’intento di ammonire quella mancanza di tatto, gli molla uno scoppolone dietro la nuca, ricordandogli di mostrare rispetto e di mantenere un certo contegno.

Dopo circa mezz’ora, sciolto il corteo e ripristinata la normalità, il solito caos viene interrotto di nuovo: da lontano si scorge un Mercedes, lo stesso Mercedes di prima, ma stavolta invece della croce sul tetto c’è un fiocco bianco legato all’antenna dell’autoradio.

Non c’è il silenzio, anzi, un’orda selvaggia di clacson fa fuggire i gabbiani e li costringe ad abbandonare il succulento pasto a base di monnezza; i roditori-felini smettono di fare le fusa (!!!) e si nascondono sotto gli scogli; i “mao-mao”, nell’attimo di distrazione, lasciano cadere i mutandoni oltre i calzini: stavolta cadono sul marciapiedi e qualcuno finisce anche sugli escrementi dei cani, così il logo “D&G” diventa “DO&GO” e qualcuno li scambia per un nuovo marchio “fashion” da aggiungere assolutamente alla collezione “trendy” (fetore permettendo, ha ideato un logo di merda).

Le auto degli invitati strombazzano senza pietà: vecchie utilitarie lucidate a nuovo che emettono le dolenti note dei neomelodici partenopei dalle autoradio spremute fino all’ultimo watt, ragazzi zulù che sembrano cloni mal riusciti dei Backstreet Boys di un tempo, donne sguaiate che bestemmiano tutti i Santi del calendario a causa degli insopportabili tacchi che sono condannate a indossare fino al termine della giornata…

E il bambino, il solito bambino, appena mette a fuoco la scena grida: “A’ SPOSA!!!”, poi osserva la mamma e si copre il capo con il braccio, per paura di un altro scappellotto.

Ma stavolta gli è andata bene.

Un uomo anziano, seduto su una panchina intanto riflette a voce alta: “ma pecchè ‘o muorto ha da essere ‘a fforza maschio?” … “e pecchè pensano sulo ‘a sposa? o’ sposo nun ce sta?”…

Poi inizia ad annuire ripetutamente col capo e accenna l’aria soddisfatta di chi ha capito tutto della vita, mentre sussurra a voce bassa, digrignando la dentiera: “tutta colpa d’o’ sissantotto … ll’uommene ‘a fforza l’hanna fà murì; ‘e ffemmene ‘a fforza l’hanna fà spusà… “.

(…pensierino della buonanotte insonne…)

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Agosto 2008)

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IO SONO LEGGENDA

Napoli. La famigerata settimana di Ferragosto.

Omuncoli panciuti e casalinghe pettegole hanno appena terminato la deportazione ai lager di villeggiatura sfidando tutto e tutti e attraversando la Salerno-Reggio Calabria incastrati in fatiscenti utilitarie con i bagagli infilati anche nel serbatoio della benzina.

Un uomo solitario sopravvive nella città deserta grazie a un climatizzatore installato nella sua stanza e una provvista che potrebbe sfamare un reggimento per un anno (trecentoquaranta Euro di spesa, porca p…!!!).

Un uomo, solo, in compagnia del suo gatto ciccione che non fa una pippa tutto il giorno ma caga e piscia a intervalli così brevi da richiedere la pulizia della lettiera con frequenza giornaliera anzichè a giorni alterni.

Io sono leggenda.

Quando cala il giorno strani esseri dominano la città a bordo di scooters e ciclomotori, pronunciando frasi incomprensibili e gridando in una lingua sconosciuta; una via di mezzo tra l’arabo e l’aramaico, e la prudenza richiede di barricarsi in casa, chiudendo a chiave la porta blindata.

Io sono leggenda.

Quando fa giorno l’uomo solo si reca presso uno stabile deserto, e va a grattarsi le chiappe per aspettare il 27 del mese, quando finalmente arriva la busta paga.

Io sono leggenda.

Non ho un amico, non ho una donna, non ho nessuno con cui parlare, non so a chi chiedere quanto sale buttare per duecento grammi di pasta; trascorro ore e ore a guardare le vecchie puntate dei Simpson che ho ancora sull’hard disk del PC, il mio telefono non squilla, il mio cellulare ancora meno, e il mio cellulare aziendale manco a parlarne (almeno questo è positivo)… Non chiamano neanche le compagnie telefoniche per propormi qualche vantaggiosissima offerta che mi vincola per circa vent’anni…

Io sono leggenda.

So che esistono diversi campi di sopravvissuti: sono riusciti a raggiungere le isole tropicali: “BAHIA Domizia”, “BAHIA Felice”, “BAHIA Verde”, “BAHIA” (vicino Pozzuoli) ma vivono scamazzati in dieci dentro una stanza e sulla spiaggia si camminano addosso mentre giacciono al sole come lucertole a pois per i morsi di zanzara, con i vicini che sfoggiano nauseabonde frittate di maccheroni e i rigatoni col ragù avanzati dalla domenica precedente…

Qualcuno pagherà per questo…

La maledizione arriverà quando nella cassetta della posta saranno rinvenuti i bollettini dei prestiti e dei finanziamenti che hanno acceso per pagare una villeggiatura dilazionata in tutto l’anno successivo, ma almeno i vicini impiccioni non potranno dire che “sono morti di fame e non si possono permettere una vacanza”.

Intanto, qui in città… IO SONO LEGGENDA!!!

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Agosto 2008)

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Speculazioni speculari: l’umiltà di chiedere aiuto

Dopo tante conferme, ho imparato per l’ennesima volta che l’apparenza inganna. Questa volta però ho preso davvero una cantonata, bella grossa: attraverso la compagnia teatrale di cui faccio parte ormai da diversi anni ho saputo che il fratello di un mio amico di vecchia data ha pubblicato un libro; un libro “strano” a detta di tutti, e, soprattutto, un libro particolarmente triste e controverso. Non ho perso tempo e mi sono procurato una copia; ero incuriosito, e soprattutto, volevo capire cosa poteva esserci di così terribile dietro un libro.

Si tratta di un libro di poesie; l’autore, neo laureato in psicologia, è stato per tanto tempo in analisi (non sapevo nulla di questo), inoltre, lancia una serie di messaggi non proprio chiari ma -a mio avviso- inequivocabili, dichiarando la propria omosessualità, istinti suicidi, sensi di inferiorità verso il fratello, orgoglio da sempre della famiglia. Inizia descrivendo l’inferno interiore che tutto questo comporta, continua sul contesto che lo circonda fino a giungere in un’introspezione travagliata, ai limiti del comprensibile, e che mostra aspetti spaventosi che sembra impossibile riscontrare in una persona che si credeva di conoscere. Sono poesie strane, apparentemente senza senso, o peggio, frutto di un delirio vero e proprio; sembra il germoglio di una forma di pazzia che, secondo la sua prefazione, non va scacciata ma piuttosto va accettata e assecondata ai fini di una “convivenza” pacifica quanto forzata.

Tante volte mi soffermo su aspetti della nostra vita, tante volte mi immergo in pensieri e idee che so dove partono e non immagino dove finiscono; forse -per una forma di egocentrismo- concentro l’attenzione su ciò che mi tocca personalmente dimenticando quello che c’è intorno, quello che capita intorno a me e quanto non riesco ad afferrare nè a capire; un pò perchè la lingua batte dove il dente duole, un pò perchè ognuno guarda il proprio orticello. Devo dire però che ho provato pena per Daniele; ho provato pena perchè, a differenza delle altre persone che hanno immmediatamente bollato questo libro come “frutto di pazzia” ho capito perfettamente il suo stato d’animo, pur non trovandomi in una situazione analoga; ho provato pena perchè a differenza di tanti ha deciso di mettersi a nudo e ha dichiarato espressamente ciò che rappresenta l’origine dei propri malesseri; ha avuto il coraggio di chiedere aiuto, e probabilmente, non avendo un appoggio diretto, si è rivolto a un potenziale pubblico di sconosciuti che avrebbe letto quelle poesie; ha avuto il coraggio di buttare nel cesso il proprio orgoglio, ha avuto il coraggio di sfidare i pregiudizi che sicuramente lo perseguitano e lo perseguiteranno, ha avuto il coraggio di dire come stanno i fatti, senza condizionare le sue idee dai giudizi altrui; ha avuto le palle per dire tutto, senza mezzi termini, senza nascondere nulla, nel modo più brutale e meno formale.

Spesso sostengo che le persone più sensibili sono quelle che vivono in condizioni di disagio, e questo ennesimo schiaffo rappresenta un’ulteriore conferma; sicuramente sto peccando di presunzione perchè posso capire, ma non in fondo: posso leggere tra le righe delle sue poesie, ma non posso rendermi conto di ciò che Daniele sta provando: non posso comprendere cosa vuol dire scoprire ed accettare la propria omosessualità, così come un cieco dalla nascita non potrà mai comprendere il significato dei colori, ma posso solo capire come possa sentirsi ora, tra i giudizi facili di un contesto moralista e i commenti idioti di chi non si immedesima nel disagio. Non posso capire cosa vuol dire provare un senso di inferiorità provocato dai genitori verso un fratello “perfetto” in tutto, perchè i genitori non li ho più e perchè tra me e mia sorella fortunatamente non sono capitati episodi di questo tipo; posso immaginare gli istinti suicidi che in qualche caso mi hanno sfiorato, in maniera più o meno lieve, ma gli istinti suicidi non rappresentano IL problema, piuttosto sono una conseguenza di altri aspetti spiacevoli, ed è su quelli che bisogna fare il punto.

Avrei voglia di chiamarlo per complimentarmi, ma probabilmente lo metterei in imbarazzo; almeno, mi farebbe piacere dirgli che ho acquistato una copia del suo libro, mi verrebbe da dirgli che ho recepito il suo messaggio; sinceramente, mi risulta difficile anche capire se la cosa gli può fare piacere. E viene anche la paura di combinare qualche pasticcio.

Una frase, che non ricordo dove ho letto, sembra quanto mai azzeccata in questo contesto: “People like you are the reason why people like me need medication” (la gente come te è il motivo del mio bisogno di cure); forse, in casi delicati come questo, la scelta meno peggiore è rappresentata da un complice silenzio. So soltanto che il “coming out” di una persona che ha avuto il coraggio di parlare alla gente in quel modo, in quel contesto, e con quella sincerità, ha dimostrato, se devo usare una battuta di pessimo gusto, che questa persona ha avuto le palle molto più grosse di un anonimo eterosessuale.

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(dal blog “Pensieri, Parole, Opere, Omissioni”, Giugno 2008)

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C’era una volta Fantozzi: non diciamo niente di nuovo – parte 2

Vorrei scrivere in dettaglio chi sono, in quale azienda lavoro, cosa faccio, e qual è il mio ruolo… Anche se avevo protetto il blog con una password, non posso divulgare queste informazioni, altrimenti qualche parassita legale si attacca come un moscone sullo sterco.

Preferisco dire che non sono nessuno. Anzi, forse non è proprio una bugia; sono un illuso, forse un idealista; un idiota che sogna ad occhi aperti; in fondo, con grande orgoglio, preferisco dichiararmi come un povero fesso che ha puntato tutto sull’onestà e l’integrità delle persone, siano essi colleghi, amici, partner o non so che altro.

Ho sempre creduto (e sperato) in tanti anni di vita lavorativa, che i raccomandati, i leccaculo, gli opportunisti, le persone scorrette, gli sciacalli rappresentassero un fenomeno marginale, poi ho dovuto ridimensionare le mie teorie; mi sono reso conto che non è così, non si tratta affatto di fenomeni marginali, ma, piuttosto, di un contesto sociale diffuso e soprattutto radicato.

Passano gli anni e cresce l’esperienza; prima stimavo, approssimativamente, che il 10% circa delle persone che ottenevano qualcosa in azienda agivano usando metodi scorretti; col passare degli anni ho capito che non era il 10% ma bensì il 50%. E con qualche anno in più ho capito che il metro per misurare le persone corrette dagli avvoltoi riguarda i successi lavorativi.

In pratica, ottenere qualcosa e lavorare onestamente rappresenta un’equazione impossibile, almeno oggi. Se ancora è in vita qualcuno che ha fatto strada senza calpestare i piedi a nessuno, appartiene al passato; oggi non è più così, e (ahimè) non ci sono eccezioni.

Lavoro in un’azienda grande, tra le più grandi in Italia, e sono assegnato al centro elaborazione dati di quest’azienda; nello specifico, si tratta di un micro-mondo un pò distaccato dal resto dell’azienda. Ho poco più di trent’anni e ci lavoro da quasi una decina d’anni: ho visto fusioni tra aziende, incorporazioni, cessioni, migrazioni informatiche, fatte e subìte, e più l’azienda è cresciuta, più ho perso il filo sul senso di ciò che noi, nel nostro piccolo, facevamo.

Il “grande capo” che gestisce tutto questo punta il 100% delle sue energie sul “social networking”; l’ennesima americanata che non sta in cielo nè in terra, crede nella comunicazione tra le persone e fa di tutto per creare un ambiente di persone “felici”… e fin qui niente di strano, anzi, è addirittura da annoverare come un’iniziativa lodevole…

Il problema riguarda il contesto, e i modi: la classe politica, giustamente bersagliata a destra e a manca, non riesce ad immedesimarsi nei problemi della gente comune. Qui, il contesto è diverso, ma il problema è assolutamente identico. Ma se il problema fosse solo quello, tutto sommato, non è un vero e proprio disastro. Il guaio è che dall’alta dirigenza gli sforzi sono orientati SOLO ed ESCLUSIVAMENTE verso questa priorità. Ed ecco che arriva il “democratico” BLOG DELLA DIREZIONE, dove chi scrive male viene etichettato senza possibilità di replica, un “progetto” (che non capisco in cosa consiste) dove si cerca di motivare il personale facendo leva su aneddoti fantascientifici o metafore paragonabili ad imprese epiche (e fa ridere pensare che -comunque- si tratta solo di impiegati che lavorano con la testa nel monitor…). Per “gasare” la gente (e, ahimè, in tanti ci cascano) si usano anche altri metodi: sms sui cellulari aziendali, e-mail che descrivono semplici attività d’ufficio come imprese titaniche, pagine intere, pubblicate sulla intranet aziendale, dedicate alle “incredibili sfide” che ogni giorno affrontiamo… Eccetera, eccetera e TANTO eccetera ancora.

Questa è l’immagine della classe dirigente che abbiamo: gente che straguadagna e che siede nel suo bell’ufficio, opportunamente distaccato dalla “massa”; gente che non ti rivolge la parola ma che -per una sorta di “democrazia imposta”- pretende che ci si parli col “TU”. Tutti, nessuno escluso. Gente che fa lavorare società esterne, dove ci sono interessi nascosti e palesi (alla faccia dell’incompatibilità contrattuale) ma se qualcuno solo accenna una cosa del genere subisce conseguenze disastrose. Gente che inventa un’attività lavorativa dalla sera al mattino, che non ha un senso, che non ha uno scopo, ma che serve a dimostrare che “siamo forti, siamo belli, siamo uniti”, e soprattutto, fioccano fatture milionarie alle stesse società di consulenza. Gente che anzichè valorizzare le persone che lavorano all’interno (e sono tante) delega tutte le scelte strategicamente più influenti a società esterne, società che “ringraziano” con un bel pò di pacchetti azionari. Gente che, da queste società esterne influenti, assume consulenti, con chiamata diretta, collocandoli in ruoli dirigenziali, scavalcando tutti gli interni, alla faccia della carriera guadagnata col sudore della fronte.

Una gran bella facciata, insomma. Un gran bel biglietto da visita: come una bistecca; è buona, ma solo chi ha visitato un mattatoio sa come è finita nel piatto.

Di questa realtà, io ne faccio parte. Ho uno stipendio fisso, grazie al cielo; sto tranquillo dal punto di vista economico e mi si gela il sangue quando sento le condizioni lavorative di tanti precari. Ma, spero sia apprezzata la mia sincerità, con tutto il rispetto verso i precari mi vergogno ogni giorno di più per questo baraccone teatrale; potrei fregarmene e pensare esclusivamente al mio tornaconto. Potrei ragionare da egoista e badare al mio stipendio, che oggi è un vero e proprio privilegio; provo a parlarne e scriverne nei limiti che mi permette la sottile linea rossa della querela e della censura.

Non so gli altri cosa preferiscono scegliere, ma almeno un pecorone ha deciso di lasciare il gregge perchè ne ha piene le tasche ed è stanco di restare deluso perchè spera che il mondo possa essere migliore di ciò che sembra. Per gli altri provo una grande pena, e qualche mente più “acuta” (istituzionalizzata) addirittura è convinta di suscitare ammirazione…

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(dal blog “Pensieri, Parole, Opere, Omissioni”, Maggio 2008)

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…e se Gesù scendesse sulla Terra?

Ormai siamo agli sgoccioli, Natale è alle porte, e anche quest’anno i “buoni” proveranno ad essere più “buoni” mentre i “cattivi” proveranno ad essere meno “cattivi”; tutti in fila per la messa di Mezzanotte, tutti saranno pronti a modificare una faccia imbronciata in un sorriso, seppur ipocrita, tutti saranno pronti a scambiarsi gli auguri, come da consuetudine, per un mondo migliore che neanche sanno quale faccia potrebbe avere.

I più incalliti credenti (o creduloni, a seconda dei punti di vista) durante la “delicata” fase di preparazione della lista di “buone azioni” per il 2009 invocheranno la salvezza di Gesù bambino; la solita bestemmia che, con puntuale cadenza annuale, scandisce la “purga” per tutti i peccatucci e peccatoni commessi durante l’anno…

…e se davvero Gesù bambino volesse venire a salvarci?!? Cosa succederebbe, oggi, a distanza di 2008 anni dalla sua nascita?

Potremmo ipotizzare tanti scenari; così tanti da costringermi a fare una drastica sintesi, altrimenti si rischia una lettura noiosa… Forse, la più “innocua” delle conseguenza riguarda una segnalazione a Striscia la Notizia: “un pazzo con la barba e i capelli lunghi si spaccia per Gesù di Nazareth”, oppure il povero Messia sarebbe messo alla gogna come un imbonitore televisivo tipo Wanna Marchi e il “maestro” Do Nascimento, sempre ammesso che riesca a trovare i soldi per apparire in tv.

Oppure, peggio ancora, potrebbe finire ospite da Maria de Filippi; se va a “c’è posta per te” dovrebbe leggere la corrispondenza di secoli interi scritta da bambini che esprimevano desideri (e che ora, da adulti, bestemmiano)… se finisce a Forum, invece, dovrà vedersela con le cause intentate verso la chiesa cattolica… e magari si trova ad evocare lo spirito di mons.Marcinkus con tutto il suo IOR e gli scandali che la storia moderna conosce bene…

Ma non è solo questo; Bruno Vespa, in agguato, lo catapulterebbe senza pietà nel suo “porta a porta”, ma almeno ne esce con le parti intime pulite, dopo le slinguazzate vergognose del conduttore per aggraziarsi l’ospite e conquistare un posto in Paradiso… o peggio, potrebbe finire su “La vita in diretta” e alternare la sua affascinante storia ai peggiori gossip che annoierebbero anche la più strafottente delle casalinghe. Ancora: potrebbero sbatterlo sull’isola dei famosi, aspettando la moltiplicazione dei pani e dei pesci, così lo share aumenta a dismisura e le inserzioni pubblicitarie salgono alle stelle (specialmente quelle del pane Mulino Bianco e i bastoncini di Capitan Findus)… Infine, una visitina ad Arcore, per guardare negli occhi colui che si proclama come “il suo fratellastro”, e una ripassatina al quirinale; quel tanto che basta per rimpiangere il caro,buon Giuda che al confronto sembrava un ingenuo boy-scout.

Insomma, di ipotesi ce ne sono tante, ma il fondo potrebbe arrivare proprio quando proverebbe a dimostrare la sua identità… Chi gli crederebbe? Certo, non finirebbe di nuovo sulla croce, ma verrebbe incarcerato… e in carcere, invece di una crocifissione rischierebbe una sodomizzazione; davvero, a parità di supplizio, non è facile scegliere il male minore…

Caro Gesù bambino (o Gesù adulto, non so se pensavi di venire “in fasce” o già maggiorenne), mi permetto -nel mio piccolo- di darti un consiglio: resta lì dove sei; se vieni qui sulla Terra potresti arrivare addirittura a rimpiangere le frustate e il dolore dei chiodi conficcati nelle mani e nei piedi sulla croce; soprattutto, se mai dovessi risorgere dopo la tua venuta, pensa a cosa ti aspetta: gli scenari apocalittici che ho ipotizzato finora dovresti esasperarli, moltiplicandoli (minimo) al cubo…

E poi, pensa a cosa ti aspetta su questa terra: disoccupazione, precariato, la gente pensa solo agli affari propri, prima di trovare la donna giusta (ammesso che la trovi) dovrai vedertela con le migliori puttane che hanno avuto a che fare con i peggiori stronzi… di amici ne trovi tanti, e anche facilmente… ma quando avrai bisogno di loro ti sentirai come sperduto in un deserto… insomma, una vocina mi dice che stavolta sarà davvero difficile “salvarci”, anzi, ho paura che invece tocherà a noi salvare te; con tutte le cose che succedono qui magari diventi peggio di noi…

Ma non preoccuparti, caro Gesù: se dovesse finire così non me la prenderei con te; in fondo è l’ambiente che ci guasta… prima o poi perfino la puzza di merda provoca assuefazione.

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(dal blog “La carne e i maccheroni”, Maggio 2008)

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C’era una volta Fantozzi: non diciamo niente di nuovo – parte 1

L’attenzione dei media è concentrata sulla (disastrosa) situazione lavorativa in Italia; purtroppo oggi il “lavoro stabile” è diventato un obiettivo quasi irraggiungibile per le nuove generazioni, e il precariato diventa l’unica opportunità proponibile a chi non può permettersi il lusso di entrare nell’imprenditoria.

Giovani specializzati e non, laureati e non, preparati e non, non fa alcuna distinzione; sono tutti gettati in un calderone che non lascia intravedere sbocchi professionali, sicurezza, trasparenza.

Non diciamo niente di nuovo.

Tutti i riflettori sono puntati (giustamente) su questi gravi problemi sociali, e tutta l’attenzione è concentrata su queste priorità, ma in questo momento mi soffermo su un altro aspetto.

Stavolta si osserva la situazione dei fortunati, quelli davvero fortunati (e credetemi, nessuno sputa nel piatto dove mangia) che sono riusciti ad entrare in un circuito lavorativo che garantisce sicurezza economica e stabilità lavorativa, i fortunati che non devono preoccuparsi più del compenso economico ma piuttosto della carriera, i fortunati che non devono cercare il lavoro, ma piuttosto devono cercare di crescere, di ottenere una soddisfazione morale, una gratifica, un passo verso la soddisfazione personale, che non c’entra nulla con lo stipendio e l’aspetto economico.

Sembrerà fuori luogo ed egoista un concetto del genere: c’è gente che stenta a trovare qualcosa che possa garantire una stabilità economica, mentre qui si parla di “carriera”, “crescita professionale”, “vita in ufficio”, mentre in tanti sognano ad occhi aperti qualcosa del genere.

Non diciamo niente di nuovo.

Eppure c’è qualcosa che è giusto diffondere; cercherò nel mio piccolo di trasmettere un altro spaventoso aspetto della vita lavorativa che tutti inseguono; mi piacerebbe far capire che non è tutto oro quel che luccica, mi piacerebbe far capire che (hai detto niente) lo stipendio è l’unico vero fine per il quale, in certi contesti, vale la pena impegnarsi, perchè qui, chi è fuori spera di entrare, e chi è dentro si rende conto che oltre allo stipendio non c’è più nulla per cui vale la pena combattere.

E mi sento in colpa, credetemi, per queste affermazioni: col precariato che c’è in giro dovrei solo ringraziare Dio per percepire regolarmente uno stipendio a fine mese, e lo faccio, credetemi: come ho precisato prima, non mi azzardo a sputare nel piatto dove mangio.

Ma oltre allo stipendio mi domando dov’è finita la dignità delle persone, mi chiedo a cosa serve il lavoro che faccio, mi chiedo come si possa lavorare in un ambiente dove la gente agisce e ragiona in base a concetti fittizi, attività inutili, regole assurde e soprattutto comportamenti deplorevoli.

Ecco, mi piacerebbe solo far capire che non è tutto oro ciò che luccica, e soprattutto, a distanza di ben 30 anni, Paolo Villaggio col suo “Fantozzi” ha centrato in pieno.

E credetemi, non c’era nulla di esasperato nelle sue storie: non diciamo niente di nuovo.

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(dal blog “Pensieri, Parole, Opere, Omissioni”, Maggio 2008)

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Il fascino del potere illusorio

L’entusiasmo degli illusi forse è il fenomeno sociale più interessante e divertente che si può osservare, in tutti i campi: si inizia dal contesto sentimentale, si finisce nel contesto lavorativo; nel primo caso non è raro trovare uomini o donne intenti a sfoggiare comportamenti ed atteggiamenti che -palesemente- non appartengono alla propria indole, mentre nel secondo caso il discorso è molto più ampio, e complesso.

Molte aziende hanno individuato perfettamente il “tallone di Achille” che si insedia nella società moderna; non è l’essere che conta, non è il potere reale che interessa alle masse, non è neanche una questione prettamente economica; più che altro, quest’ultima può rappresentare un emblema da sfruttare per sfoggiare una sorta di status symbol. E’ l’apparenza che conta, e nei contesti aziendali, in questi micro-mondi dove le regole sociali hanno un inizio e una fine, in queste “cupole” dove il raggiungimento di una qualsiasi forma di individualismo rappresenta una prevalenza su tutti. Per molti, ciò rappresenta la propria ragione di vita che merita di anteporsi a tutti gli altri aspetti di importanza fondamentale della propria vita: famiglia, figli, mogli, mariti, interessi personali, e tutto ciò che appartiene alla sfera personale in molti casi assume un aspetto secondario di fronte alla prospettiva di raggiungere un obiettivo che ha la priorità assoluta.

Ma molte persone che “cascano” in questo tranello non trovano il tempo, la lucidità mentale e la razionalità per fermarsi un attimo a riflettere: si procede all’orizzonte, con i paraocchi, senza chiedersi “ma in fondo cosa sto cercando di raggiungere?”.

La mia proverbiale monotonia torna sempre sul dente che duole; se i mass-media ci hanno rincoglioniti con stereotipi di “successo” che ormai suonano più che mai ridicoli c’è da dire anche che l’erba cresce sul terreno fertile; lo sanno i mass-media, lo sanno le aziende, lo sa chi conosce i mezzi per stordire le masse; ne sanno qualcosa i telespettatori affascinati dai “grandi fratelli” e dalle “Marie De Filippi”.

Ed ecco applicata in pieno questa regola nei contesti lavorativi: iniziamo con le mansioni fittizie ed inutili, “progetti” che non portano alcun valore aggiunto all’azienda, e poi percorsi di crescita personale (e lì, almeno egoisticamente, un tornaconto c’è) il tutto utilizzando rigorosamente paroloni, terminologie e neologismi “anglosassonizzati” che riuscirebbero a zittire anche il più promettente avvocato Azzeccagarbugli del nostro secolo.

Dal punto di vista economico, invece, non cambia nulla: se mancassero gli stupidi, oggi non avremmo persone ricche. E la gente, stordita a dovere, diventa stupida prima di quanto si possa immaginare.

Francamente, nel mio piccolo, trovo assurdo tutto ciò; vedo colleghi che dimenticano famiglia, affetti, amici in nome di queste ambizioni annebbiate, e forse, con un pizzico di invidia provo anche un pò di rabbia; penso che il mondo ormai non si può cambiare: anche se ciò fosse possibile, io non conto nulla e non riuscirei ad ottenere granchè: posso solo limitarmi a raccontare tirando giu qualche considerazione. So anche di sbagliare, ma sono sempre stato dell’opinione che è inutile inseguire i traguardi impossibili; il problema è consolidato, non si tratta di una novità inventata oggi, così i miei colleghi “istituzionalizzati” continueranno a mettere da parte gli affetti e le famiglie per inseguire questi risultati fittizi, ed io per sfuggire un pò dalla tristezza stasera partirò per rifugiarmi in assoluta solitudine nella mia casa di montagna, cercando di rilassarmi tra mille lavoretti e cose da fare. Tanto già so come andrà a finire: mi immergo come sempre nei soliti pensieri, che si fermano puntualmente sull’immagine della tomba dove è seppellita tutta la mia famiglia; quella famiglia che, quando c’era, ho messo in secondo piano per correre dietro alle sciocchezze di cui ho appena parlato.

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(dal blog “Pensieri, Parole, Opere, Omissioni”, Aprile 2008)

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